Una lettera dall’INPS che entra in una cassetta della posta può trasformarsi, per molte famiglie, in un respiro in più. In cucina, una madre conta i pannolini ancora da comprare; in una camera di studentato, un padre rivede il budget per l’università. È questa la scena concreta dietro al dibattito pubblico sull’assegno unico: non un’astrazione, ma un flusso di denaro che tocca bollette, rette, e prime spese di un neonato.
La misura è stata pensata per semplificare il sistema degli aiuti alle famiglie e accompagnare i figli dalla gestazione fino al primo lavoro. In diverse città italiane chi vive quotidianamente con figli lo nota nelle buste paga sociali: un importo che arriva ogni mese e che, per alcuni nuclei, può fare la differenza tra conti in pareggio e debiti. Un dettaglio che molti sottovalutano è proprio la continuità del sostegno, soprattutto nelle fasi di transizione verso l’autonomia.
Chi può chiederlo e fino a quando
L’assegno unico è riservato alle famiglie con figli a carico e spicca per la sua ampia copertura: spetta per ogni figlio minorenne e può essere riconosciuto già dal settimo mese di gravidanza. Questo significa che molte coppie ricevono un primo aiuto prima della nascita, quando le spese iniziali si sommano rapidamente. Allo stesso tempo, il beneficio continua oltre la maggiore età: è riconosciuto fino ai 21 anni se il giovane è impegnato in percorsi scolastici, professionali o universitari, svolge tirocini, percepisce redditi limitati, è iscritto ai centri per l’impiego o partecipa al servizio civile.
Un aspetto che sfugge a chi vive in città è la differenza per i nuclei con componenti in condizioni particolari: per i figli con disabilità non è previsto alcun limite di età. In pratica, le famiglie che affrontano situazioni più complesse ricevono un sostegno più duraturo, riconoscendo costi e impegni che non si esauriscono con il raggiungimento della maggiore età.
La domanda va presentata all’INPS e il contributo non passa tramite la busta paga del datore di lavoro. Un dettaglio che molti sottovalutano riguarda la documentazione: avere l’ISEE aggiornato facilita l’accesso alle fasce più favorevoli e alle maggiorazioni previste dalla normativa.

Come si calcola e chi riceve di più
Il meccanismo di calcolo è costruito attorno al valore dell’ISEE familiare. L’importo base è modulato in funzione della capacità economica del nucleo, con l’obiettivo dichiarato di concentrare risorse maggiori sulle famiglie più bisognose e di mantenere un livello minimo per quelle con redditi più alti. Accanto all’importo base, sono previste diverse maggiorazioni: per il numero dei figli, per la presenza di persone con disabilità, e per altre condizioni che incidono sui costi familiari.
Per avere termini concreti: le rilevazioni più recenti indicano importi che vanno da circa 57 euro per figlio nei casi in cui non sia disponibile un ISEE o si superi la soglia massima, fino a 224 euro per figlio per chi rientra nella fascia ISEE più bassa. L’importo medio mensile ricostruito per il mese di settembre 2025 si attesta su circa 173 euro per figlio, comprensivo delle maggiorazioni. Un fenomeno che in molti notano è la forte variabilità tra le fasce: la progressività è voluta, ma nella pratica crea differenze nette tra nuclei con situazioni economiche vicine.
L’erogazione è mensile e segue un ciclo che va da marzo a febbraio dell’anno successivo, mentre l’introduzione dell’assegno unico ha gradualmente sostituito alcune detrazioni per figli a carico, con l’intento di semplificare il quadro delle agevolazioni fiscali. Un dettaglio che molti sottovalutano è che la scelta di non far transitare il beneficio attraverso la busta paga libera i datori di lavoro da oneri amministrativi, ma rende centrale il ruolo dell’INPS nella gestione diretta dei pagamenti.
Numeri e impatto sulle famiglie
I dati dell’osservatorio INPS danno una misura concreta dell’ampiezza della misura. Nel periodo compreso tra gennaio 2024 e settembre 2025 sono stati erogati miliardi di euro a sostegno delle famiglie: solo nei primi nove mesi del 2025 si contano circa 14,7 miliardi, che si aggiungono ai 19,9 miliardi distribuiti nell’intero 2024. È un volume che mette l’assegno unico al centro del discorso sul welfare familiare in Italia.
Nel corso del 2025 il beneficio ha raggiunto oltre 6,2 milioni di nuclei familiari, coprendo quasi 9,9 milioni di figli. Numeri che mostrano come l’intervento non sia marginale: interessa una porzione ampia della popolazione e incide sulle decisioni quotidiane delle famiglie, dalla scelta della scuola alle possibilità di conciliazione lavoro-famiglia. Un aspetto che sfugge a chi non vive la realtà dei bilanci domestici è l’effetto cumulativo delle maggiorazioni per più figli, che possono trasformare l’importo complessivo percepito da un aiuto modesto a un contributo significativo per il bilancio familiare.
La misura è pensata per accompagnare le famiglie lungo le principali transizioni — dalla gravidanza all’ingresso nel mondo del lavoro — creando un collegamento stabile tra istituzioni e cittadini. Un dettaglio che molti sottovalutano riguarda l’adeguamento alle diverse realtà territoriali: la necessità di servizi e supporti locali resta alta, soprattutto nelle aree con minore offerta educativa e sociale. In molte scuole e consultori si nota già l’effetto pratico: famiglie che riescono a sostenere rette o materiali scolastici senza tagliare altre voci essenziali.
